Un po’ di me
Mi piace immaginare questa come una pagina aperta, non limitata alla mia sola riduttiva presentazione di me stessa.
Proprio così, ciò che realmente sono, nel bene e nel male, non può essere soltanto ciò che so di me.
E dunque dedico a questa pagina due sezioni: “chi sono” e “chi sono?”.
Nella prima ti racconterò di me, nella seconda, se vorrai, mi descriverai con una parola, una frase, un ricordo. Potrai con il tuo sguardo farmi scoprire parti di me che ancora non conosco, aiutandomi così a crescere e a presentarmi agli altri, attraverso questo blog, in modo più aderente alla realtà.
N.B.: le regole del gioco prevedono l’espressione degli aspetti piacevoli e di quelli spiacevoli, perché per essere credibili dobbiamo ammettere che niente e nessuno incarna assolutamente ciò che ci piace o non ci piace. Vuoi giocare?
CHI SONO
C’era una volta una bimba riccia con dei grandi occhioni, il cui sguardo si saziava di tutto ciò che poteva raggiungere.
Se fosse nata trent’anni dopo le sarebbe stato diagnosticato un disturbo dell’apprendimento. Sì, perché l’apprendimento non seguiva l’andamento normale. Le lettere scritte da altri danzavano e quelle da lei faticosamente tracciate sul foglio bianco giocavano a nascondino o si scambiavano l’identità. Forse è per questo che, più che dai libri di carta, famelicamente apprendeva da quelli in carne ed ossa. Imparava dai piccoli e dai grandi, dalle vittorie e dalle sconfitte, ciucciava saperi da chiunque intenzionalmente o meno poteva insegnarle qualcosa.
Tutto doveva avere un senso logico e se sembrava non essercene uno lo doveva inventare, argomentando con tale rigore e testardaggine che gli interlocutori ne uscivano sconfitti, non si sa ancora se perché persuasi o estenuati, valutato che a distanza di tempo la logica passata assumeva nuove declinazioni e determinava nuove convinzioni.
Trascorreva il tempo alternando, equamente, la passione per il gioco in compagnia e la contemplazione in solitaria di chissà cosa. “Pensava, pensava…”, così narrano gli adulti di casa, seduta sulla lucidatrice riposta in un cantuccio.
Non riusciva ad imparare le tabelline, ma al contempo, nelle fredde sere d’inverno, fungeva da simpatico intrattenimento interpretando una calcolatrice velocissima e fornendo risultati corretti a quesiti matematici al tempo complicati per i coetanei.
Apparenti contraddizioni e amore sviscerato per la matematica: due costanti nella vita della piccola.
Nel tentativo di comprendere il funzionamento delle cose smontava di tutto, spesso non riuscendo a riportare allo stato iniziale gli oggetti, compresi i giochi del paziente e amorevole fratellino. E poi doveva creare per sentirsi viva, come ad esempio un pomeriggio intero, nel periodo delle scuole medie, cercando di ideare un nuovo teorema geometrico, naturalmente non riuscendoci. Doveva cimentarsi in tante e diverse attività (chitarra, pianoforte, violino, canto, danza, pattinaggio, palestra, ecc.ecc.ecc.), anche se veniva definita incostante.
La frustrazione provata nel non essere ascoltata, capita, lasciava saggiamente, ma inconsapevolmente, spazio all’ascolto e al tentativo di comprendere gli altri, forse nella speranza che un giorno sarebbe toccato anche a lei essere accolta.
Sperava che un giorno qualcuno avrebbe ascoltato e capito realmente ciò che aveva da dire, ma intanto era confortata dalla convinzione che una volta diventata grande almeno lei avrebbe preso sul serio ciò che era stata, non tradendo se stessa.
Chi sono è quella bambina di cui ti ho parlato fino ad ora. Ho stirato i capelli e i miei occhi distano da terra parecchi centimetri in più di allora. La propensione all’ascolto, arricchita da tantissimo studio, è diventata la mia professione, sempre caratterizzata dalla comprensione dei fenomeni, dalla matematica e dalle scienze più in generale. La cocciutaggine e la presunzione non sono molto variate, ma come allora sono capace di ammettere di aver sbagliato, se me lo si fa capire, e di tornare sui miei passi.
Prediligo ancora i libri in carne ed ossa, il libro dell’esperienza e della vita.
Non ho dunque tradito me stessa e l’essenza del mio essere. Il tempo e la vita hanno smussato qualche angolo, o forse parecchi, ma ho mantenuto la promessa di dar voce autorevole e credibile a quella bimba, la promessa di non rinnegarla mai. Non è giusto rinnegare ciò che siamo stati, ciò che abbiamo fatto, perché gli errori commessi in passato avrebbero potuto essere evitati soltanto col senno del poi, troppo facile, troppo stupido.
È per questo che mi interessa tutto ciò che qualcuno ha voglia di dirmi, se autentico e sentito; non importa se si tratta di un bambino, un premio nobel, un clochard o un principe. Sulla mia pelle ho imparato che la ricchezza e la verità non hanno età, status sociale, economico o culturale. Da tutti possiamo imparare, anche da una bimba riccia con dei grandi occhioni il cui sguardo si sazia di tutto ciò che può raggiungere.
CHI SONO?
Ora tocca a te…