Vorrei scrivere a te che non sei mai esistito
Ti ho amato fin dal profondo dell’anima,
dalla mia essenza sgorgava poesia di passione.
Le vibrazioni che innescavi risuonavano nel sangue e nella carne,
il tuo sguardo mi penetrava quanto il tuo odore e la tua voce.
Le tue mani risvegliavano piaceri arcaici fino ad allora disconosciuti
e godevo, lacerandomi e fremendo, al tuo solo pensiero.
Godere era nelle parole, nelle circonvoluzioni mentali, nelle furenti liti.
Godere era tutto in ogni istante.
I brividi assalivano ed inebriavano i tessuti più reconditi, quelli più sconosciuti
e stordivano ogni lucido pensiero della mia mente schiava.
Ho voluto disseppellire una realtà col rischio di dissacrarla.
Sapevo di non trovare altro che ossa, ma mi sarei accontentata.
Il sepolcro è invece vuoto.
Può davvero dissolversi così la materia? O forse non sei mai esistito?
Vorrei conservare perlomeno il sudario a testimonianza di un fatto,
ma guardo le mie mani vuote palpare nuda aria.
Vorrei fermarmi con te ed avvertire perlomeno leggere vibrazioni,
ma il sepolcro è vuoto.
Rimane soltanto l’epigrafe che io ho scritto:
la poesia che negli anni ha accarezzato ogni mutamento della mia anima,
che è sgorgata per farmi comprendere e far defluire compressioni strazianti.
Scrivo a te, che non so se sei mai esistito,
volendoti pateticamente raggiungere attraverso un corpo che non riconosco come tuo.
Attraverso qualcuno che non riconosco o non mai conosciuto,
attraverso la certezza dell’incomprensione che ridurrà tutto al solito banale innamoramento.
Vorrei che tutto questo avesse la forza di superare la gravità,
ignorare il tempo convenzionale e ad arrivare a te, per l’ultima volta,
per poterti degnamente salutare e dirti: io ti ho amato, addio
anche se non sei mai esistito.